
Ho seguito una lezione di lingue elfiche mentre ero in vacanza in un mondo magico. Ho conosciuto un maestro che vive tra due mondi, di cui uno decisamente bellissimo: la Terra di Mezzo di Tolkien. Disse Ludwig Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.
Ecco, un traduttore è un Indiana Jones delle lingue, un avventuriero nel tempo e nello spazio. Questo vale per tutte le lingue. Ma quando si parla di lingue elfiche, il viaggio diventa tra due mondi e se si decide di partire, la persona che tornerà sarà diversa da quella che è partita. Ce lo racconta Roberto Fontana, autore e calligrafo che da molti anni si dedica alle lingue e alla calligrafia elfiche. Tiene corsi di scrittura Tengwar, lo stile degli Alti Elfi inventata da Tolkien. È un ingegnere nucleare, e quando non è impegnato nella sua attività di scrittore e calligrafo insegna matematica e fisica al liceo.
-Quando inizia il tuo interesse per la lingua elfica e come si concretizza?
Devi sapere che fin da quando avevo 14 anni sono sempre stato un appassionato di Fantascienza. Attualmente ho circa 1400 romanzi di FS a casa mia, e continuo tuttora a leggerne di nuovi. Poi nel 1983 ho iniziato a leggere Tolkien… e quindi l’ho riletto, l’ho letto in inglese, ho letto tutta la sua produzione, ho iniziato a leggere e studiare le riviste che svisceravano ogni particolarità del mondo creato dal professore. Non so perché ma ho stabilito una relazione particolare con le lingue e le grafie di questa saga, scoprendo di avere una certa affinità con loro. Il resto, lo conosci già.
-La lingua elfica è solo una o esistono varianti, dialetti? Da cosa nasce e quando?
Il termine “lingua elfica” è una inesattezza, una semplificazione. Bisognerebbe parlare di “lingue elfiche” perché, considerando anche i dialetti e le varianti, Tolkien ne ha inventati circa 20. In realtà, le uniche su cui si può discutere seriamente e con cui si può tentare di effettuare traduzioni e componimenti, sono due: il Quenya e il Sindarin. Il Quenya è la lingua degli Elfi dell’Ovest (ma che poi si trasferirono nella Terra di Mezzo), che a un certo punto ha smesso di essere lingua corrente divenendo lingua dotta, sapienziale, nota ai nobili, ai colti e agli eruditi, anche definita “latino elfico”. Il Sindarin è invece la lingua parlata dagli Elfi della Terra di Mezzo nella 3° era (quella in cui si svolgono le vicende descritte anche nei film), e compresa e parlata in parte anche dagli Uomini.
-Quali difficoltà e quali gioie hai incontrato durante i tuoi studi “elfici”?
Le difficoltà sono state di tipo “tecnico”: non essendo lingue vere, non sono mai state “vive”. Questo vuol dire che le uniche fonti attendibili sono gli scritti di Tolkien, che la famiglia lascia uscire un po’ alla volta, costringendo gli appassionati a una continua revisione delle conoscenze. Inoltre, il lessico e le regole sintattiche a nostra disposizione non sono complete, quindi lo studio rimane sempre parecchio incompleto. Le gioie… quando vieni contattato da un gruppo musicale per scrivere i testi di un intero DVD in lingua elfica, e partecipi pure ai clip musicali in veste di comparsa… cosa voler di più dalla vita? (P.S. gli amari non mi piacciono!)
-Sono rimasta estremamente affascinata dal funzionamento dell’alfabeto, e del rapporto tra vocali e consonanti: in particolare quando hai detto che “la consonante è un segno, la vocale è uno spirito che la colora”, ho vissuto una sorta di epifania. Puoi descrivere per chi è profano, questo sistema?
Due dei tre modi possibili per utilizzare le Tengwar (ricordo che esistono anche le rune e le Sarati) sono definiti “ómatehtar”, cioè “con le vocali sopra”. Tecnicamente parlando, è un sistema diacritico, cioè a due registri sovrapposti. Semplificando un po’, sotto si scrivono le consonanti (tengwar), sopra le vocali (tehtar). Esiste però una differenza fra Quenya e Sindarin: nel primo, i “quante tengwi” cioè i simboli pieni, quelli composti da una consonante (C) e da una vocale (V), vanno letti nell’ordine CV, mentre nel secondo si leggono nella sequenza VC. A questa regola di base si attengono anche tutti gli altri linguaggi che hanno somiglianza fonetica con queste due: l’italiano, ad esempio, va scritto come il Quenya, mentre l’inglese segue la modalità Sindarin.
-Il tuo libro “Guida per Viaggiatori nella Terra di Mezzo” è una vera e propria guida turistica come quelle che si comprano oggi in libreria, con consigli su luoghi caratteristici da visitare, curiosità e usanze dei migliori posti del mondo. La differenza è che nel caso della Terra di Mezzo quei luoghi sono immaginari. Come farà il lettore a tornare al mondo reale dopo essersi immerso nel viaggio, accompagnato dalla tua guida? Ovvero: ci hai fatto sognare, ora prendici per mano e riportaci indietro riducendo al massimo il trauma!
Tolkien ci dice che l’uomo è da sempre attratto dalle fiabe. Noi ricerchiamo in esse “ristoro”, per la bellezza intatta ed ancora fanciullesca con cui possiamo ancora guardare al mondo di Feeria, in contrasto con la rigida ed ormai cristallizzata visione del mondo primario che ogni giorno abbiamo: nella fiaba “noi possiamo vedere le cose come siamo (o forse solo eravamo) destinati a vederle.” [Sulle Fiabe].
Non solo: il nostro animo ha anche bisogno di “evasione”: si badi bene, “Evasione del prigioniero, non Fuga del disertore” [ibid.]. Le brutture del mondo che ci circonda possono essere facilmente superate nel mondo di Feeria; in qualche modo il subcreatore, nel suo mondo secondario, tenta di ristabilire la bellezza o persino la bruttezza nelle loro giuste proporzioni e collocazioni. Il castello di un orco, cioè di una creatura malvagia, potrà essere brutto, ma mai quello di un giusto Re, oppure un’utile locanda, persino la bottega di un umile fabbro.
Ecco, posso dire che nel mio libro ho proprio cercato di operare verso questi due fini: ottenere per il lettore il “ristoro” e “l’evasione”, per poi riportarlo, rinfrancato e rigenerato, nel suo mondo primario. Se ci fossi riuscito, ne sarei veramente felice.
-Tornando alla lingua elfica: è noto che nella versione italiana della famosa trilogia diretta da Peter Jackson alcuni accenti, parole ed espressioni siano non del tutto corretti, ma si sentono in giro voci discordanti. Puoi elencare alcuni di questi errori, per fare finalmente chiarezza sulla curiosità di molti?
Elenco solo alcuni dei più eclatanti. Nella versione italiana (ma parzialmente anche in quella inglese) i nomi di Isildur ed Elendil (l’eroe umano che ha tagliato il dito di Sauron e suo padre) sono stati pronunciati sbagliati. Il primo va letto Isìldur, con la “s” aspra, e il secondo Elèndil (nel film sono Ísildur, con la s sonora, ed Élendil). Anche la frase “pedo mellon a minno” (la scritta della porta di Moria) si traduce “di’ amico ed entra”, mentre sia nella traduzione italiana del libro e anche nel film viene detto “dite amici ed entrate”. Piccolezze, non ne dubito, ma che a un appassionato possono dare fastidio.
-La lingua cinese, come la lingua elfica ha dei suoni che non sono presenti in italiano e per questo abbiamo difficoltà nella pronuncia. Qualche segreto per migliorare?
Provare a cantare: fino a 14 anni sono stato afflitto dalla balbuzie, e l’unico modo per superarla è stato mettere muiscalità nelle mie parole e nei miei discorsi.
-In cinese non esiste alfabeto, ma un sistema di ideogrammi formati nella maggior parte dei casi da un elemento fonetico ed uno semantico. Ricordarli non è semplice, ma nell’apprendere i radicali cinesi bisogna appellarsi alla fantasia. Alludevi ad una tecnica simile anche per memorizzare l’alfabeto elfico se non sbaglio, puoi farci qualche esempio concreto?
Purtroppo non ho molta familiarità col cinese. Con le Tengwar, sono possibili piccole astuzie: ad esempio, tutti i segni che hanno una chiusura inferiore (parmatéma) rappresentano consonanti che vanno pronunciate con le labbra chiuse, cioè “labiali”. Quelle invece che hanno un’apertura (tincotéma) stanno per suoni che necessitano la bocca aperta e la lingua sul palato, sono cioè “dentali”. Queste due serie hanno gli archi verso destra. Tutte quelle che hanno l’arco verso sinistra sono “gutturali”, si pronunciano cioè con la gola. Per le vocali, la forma della bocca ricorda molto il segno: bocca larga per la A (tre punti), lunga e stretta per la E (tratto obliquo), piccola per la I (un punto), alternando il labbro inferiore e superiore per O e U (riccioli verso l’alto e verso il basso).
-Scrivere in elfico è necessariamente un esercizio calligrafico. Non è affatto facile, ma scrivere l’elfico a mio modesto parere regala più soddisfazioni che parlarlo. Adoro la scrittura elfica non solo a livello estetico ma anche per il meraviglioso connubio tra vocali e consonanti, che creano un disegno armonioso e danzante.
Confermi che solo con lunga pratica e i giusti strumenti si possa raggiungere un buon livello nella calligrafia? Puoi svelarci qualche trucco del mestiere o consigliare gli strumenti giusti?
Posso solo dirti che, partendo dalla calligrafia Tengwar, ho scoperto la mia passione e la mia attitudine verso la calligrafia in generale. Ovviamente ci vuole molto studio e pratica, come in tutte le attività della vita. E purtroppo ci vogliono anche i materiali giusti, che non sempre ci obbligano a spendere… con le canne raccolte in riva al lago è possibile intagliare delle ottime penne, i “calami”, mentre con acqua, pigmenti e gomma arabica si possono produrre degli inchiostri dalle mille tonalità. Basta applicarsi, poi tutto è possibile.
-Ed ora sogniamo ancora un po’: se un elfo ed un poeta Tang* si incontrassero in un bosco, cosa succederebbe e cosa si direbbero?
Si può chiedere una domanda più facile? A parte gli scherzi, non sono sicuro di cosa direbbe un poeta Tang, ma un elfo sicuremente lo saluterebbe così: Elen síla lumenn’ omentielvo ovvero “Una stella brilla sull’ora del nostro incontro”.
*I poeti di epoca Tang (618-907 d.C.) sono famosi per il loro amore per la natura, mosso dalla filosofia taoista, inneggiano spesso ad amori lontani attraverso odi alla luna e godono delle bellezze dei boschi durante lunghi romitaggi. Allo stesso tempo però brindano con abbondante vino alla caducità della vita materiale, inebriandosi per non soffrire l’allontanamento dalla terra natia e dagli affetti familiari.
Sono spesso dediti a pratiche alchemiche e quindi in qualche modo associati all’immagine di saggi e maghi delle foreste, che però non disdegnano di fare bisboccia!