
CHAPTER II
Giapponese, chi lo studia e chi ci lavora. L’intervista che ci svela molti misteri sullo studio ed il lavoro con la lingua giapponese continua! (Leggi qui la prima parte!)
In questo secondo capitolo ci concentriamo sulla realtà lavorativa in Italia ed all’estero e scopriamo come funziona quando hai studiato giapponese e finalmente sei pronto a fare carriera! In più altre curiosità e miti sulla cultura giapponese.
L’idea per l’intervista è nata dalla grande solidarietà che mi ha dimostrato la comunità nippofila dopo la lettura del mio articolo sui Radicali della lingua cinese (Leggilo qui!).
Rispondono alle mie domande:
–Federica Bruniera, traduttrice e boss di Ikigai Translations
–Stefano Cavalieri, responsabile marketing e comunicazione per Key Coffee Inc., Illy department
–Sara Pisano, traduttrice e localizzatrice freelance
–Fabiano Bertello, traduttore di fumetto per Edizioni BD (marchio J-POP) e Hazard Edizioni
-Quando hai capito che il giapponese poteva essere davvero utile nel mondo del lavoro?
–Federica: Devo ammettere di non aver mai ragionato in questa ottica. All’epoca scelsi di studiare il giapponese perché mi incuriosiva e mi affascinava profondamente, anche se tutti mi ripetevano che “sarebbe stato meglio scegliere il cinese, che è la lingua del futuro”. Ho sempre studiato il giapponese per me stessa, non per avere più sbocchi lavorativi, poi ovviamente quando capita di poterlo usare per lavoro, è ancora meglio!
–Stefano: Quando mi segnai alla triennale di Studi e civiltà Orientali, avevo già chiaro in mente che il mio futuro lavoro avrebbe avuto a che fare con la lingua giapponese, per cui stavo investendo molte energie. Alla laurea pero’ avevo iniziato a nutrire una certa ansia, avendo poche chiare idee di come sfruttare le competenze della lingua giapponese e farne una professione. Questa sensazione di smarrimento mi ha portato a prendere una prima decisione importante: proseguire gli studi e approfondire le conoscenze della lingua, ma in un’altra facoltà, quella di Lettere, che offriva un corso mirato alla traduzione letteraria e tecnico scientifica. Una volta finita la vita da studente, e dopo un breve periodo che ho lavorato come traduttore freelance, ho capito però che quello non era esattamente ciò che volevo. Non mi sentivo pienamente appagato né professionalmente, né economicamente. Sapevo che il Giappone stesso mi avrebbe offerto qualcosa di meglio. E infatti, una volta maturata una lunga esperienza in Giappone che mi ha permesso di migliorarmi dal punto di vista linguistico, ero pronto per vendermi non tanto come conoscitore della lingua e cultura giapponese, ma avevo iniziato ad intuire che, come straniero, la mia qualità principale era in realtà essere italiano. Questa presa di coscienza mi ha incoraggiato a propormi ad aziende che trattano con marchi italiani, e da allora ad oggi lo considero ancora il mio punto di forza.
–Sara: Sicuramente non quando ho iniziato a studiarlo. La scelta del giapponese è stata un po’ casuale per me (l’anno in cui mi sono iscritta all’università, il mio corso di laurea prevedeva due sole lingue tra le quali scegliere dopo l’inglese, ovvero cinese o giapponese, quindi all’inizio non è stata una scelta del tutto consapevole). Fino alla laurea il giapponese è stato per me semplicemente una passione, una lingua bella ma con la quale non sapevo se avrei avuto davvero possibilità di lavoro. Quando però ho iniziato a frequentare il master in localizzazione, ho cominciato a pensare che il giapponese poteva essere una carta in più da giocare nel settore delle traduzioni tecniche in generale. E così, in parte, è stato.
–Fabiano: Sinceramente, non mi sono mai posto il problema. Per me, all’inizio, lo studio del giapponese era un puro sfizio. Ho sempre avuto una passione per le lingue (e per altre mille cose, N.d.A.), alla quale si era da poco unita quella per i manga, così, quando al mio centro linguistico di ateneo (dove ero andato per iscrivermi a un corso di tedesco) mi sono trovato davanti il bando del corso di giapponese… non ho resistito alla tentazione!
Il tutto ha preso una piega più seria solo un paio di anni dopo, quando, facendomi un esame di coscienza mi sono reso conto che era ora di rimettere un po’ in ordine la mia vita. Il giapponese era lì che mi aspettava e io sono stato ben felice di seguirlo.
-Consiglieresti di studiare giapponese oggi? A quali altre lingue lo assoceresti in un percorso universitario? Che consiglio daresti agli studenti di oggi, che nessuno ha dato a te e invece ti sarebbe servito?
–Federica: Consiglierei sempre di studiare il giapponese, ma solo a chi è davvero convinto. Una lingua così richiede tanto studio, pazienza e dedizione, se non c’è quella scintilla che ti motiva, è difficile non mollare. Agli studenti di giapponese consiglio di partire il prima possibile per il Giappone e di rimanerci il più possibile e possibilmente di associarlo allo studio di qualcosa in un settore specifico (ingegneria, architettura, IT, economia, ecc.) se si vuole vivere là a lungo termine. Per quanto riguarda le lingue in un percorso universitario, lo assocerei senz’altro al coreano. La grammatica e la struttura delle due lingue sono simili, perciò si prestano bene a uno studio parallelo (cosa più difficile da fare, a mio parere, con il cinese).
–Stefano: Lo studio di una lingua orientale richiede grossi sforzi e immensa determinazione, è bene saperlo sin da subito. Chi decide di farne la prima materia di studio deve essere conscio del fatto che spostarsi a vivere, anche per un breve periodo, in Asia è indispensabile per maturarsi dal punto di vista linguistico. Sinceramente studiare contemporaneamente due lingue orientali non l’ho trovato molto produttivo. In un mondo come il Giappone, in cui il business ruota intorno alla conoscenza della lingua inglese, ritengo che quest’ultima debba essere considerata non meno importante del giapponese.
Non so se consiglierei di studiare il giapponese. A lungo ho pensato che il giapponese fosse stata una scelta sbagliata, considerate le scarse opportunità (al tempo) per uno studente di recarsi in Giappone attraverso borse di studio. Ho invece pensato che il coreano, altra lingua altrettanto affascinante, avrebbe offerto sbocchi più ampi. Sia perché ci sono ancora pochi italiani che hanno una conoscenza ad hoc della lingua, sia perché la Corea in se’ sta crescendo molto velocemente dal punto di vista economico. Consiglierei agli studenti di oggi di pensare bene che una lingua straniera è uno strumento potente, ma come tale deve essere calibrato a perfezione, se lo si vuole utilizzare come UNICA e PRINCIPALE abilità. Ai tempi dell’università avrei voluto che qualcuno mi consigliasse di non limitarmi al solo studio della lingua, ma di approfondire anche conoscenze tecniche e specifiche in altri settori (di economia, turismo, marketing, IT, ecc.) magari ottenendo certificazioni varie, che avrebbero fatto da trampolino di lancio per inserirsi nel mondo del lavoro.
–Sara: Sicuramente è una lingua che consiglio, seppur abbinata a una lingua come l’inglese o un’altra europea, che sono lingue che comunque, seppur meno rare, hanno in Italia tantissimo mercato. Il suggerimento che mi sento di dare è questo: capisco che una lingua si studi anche e principalmente per passione, ma se si vuole lavorare con una lingua rara come il giapponese è importantissimo informarsi prima sugli sbocchi possibili e cercare di capire quali settori e impieghi richiedono davvero la conoscenza di quella lingua, per poi poterli perseguire tenacemente. È una ricerca molto difficile da fare ma io consiglio di avere le idee chiarissime fin da subito.
–Fabiano: Sotto il profilo lavorativo, difficile dire se lo consiglierei… bisogna vedere dove ci porterà la rivoluzione cibernetica che è ormai alle porte…
A livello di cultura personale, invece, assolutamente sì! Lo studio di una lingua, qualunque essa sia, ti apre il mondo, la mente e gli occhi! Ti permette non soltanto di conoscere una nuova cultura, ma anche di riscoprire e vedere con occhi diversi la tua!
Come seconda lingua, l’abbinamento con il cinese potrebbe essere interessante, anche se sicuramente renderebbe abbastanza impegnativo lo studio. Non sottovaluterei comunque il coreano, anche se forse in Italia non è diffusissimo a livello di Università. Il coreano, tra l’altro, a detta di molti, ha diversi aspetti in comune con il giapponese, a partire dalla struttura grammaticale (che invece, nel cinese è completamente diversa) e dai numerosi prestiti o riadattamenti che entrambe le lingue hanno dal cinese.
Un consiglio… beh, mi permetto di disobbedire alla tua richiesta e darne uno che mi è stato dato ma che ho trovato assolutamente veritiero: non vi fidate dei complimenti dei giapponesi; fino a quando vi diranno che parlate un ottimo giapponese, significherà che avete ancora molta strada da fare; quando smetteranno di complimentarsi, significherà che cominciate a cavarvela davvero bene.
-Quando vivevi in Giappone cosa hai amato? Cosa non ti è piaciuto?
–Federica: Del Giappone ho amato quasi tutto, è un paese che si abbina perfettamente alla mia personalità e alla mia sensibilità. Ne amo i paesaggi e la tradizione, il karaoke, gli onsen, gli onigiri e il cibo in generale, i water dalle mille funzioni e anche un po’ il trash XD La cosa che forse mi piace di meno, ma che comunque sta cambiando negli ultimi anni, è l’etica del lavoro, per cui bisogna sacrificare tutto e votarsi all’azienda. All’epoca feci un sondaggio per un lavoro scolastico sull’importanza del lavoro rispetto alla famiglia, e la percentuale di persone che mi dissero di dare sempre e comunque la priorità al lavoro è risultata spaventosamente alta. Per loro si vive per lavorare, per me è il contrario.
–Stefano: Vivo attualmente in Giappone, a Tokyo e non è facile riassumere un’esperienza che dura da 5 anni in poche righe. Del Giappone (di Tokyo), in senso pratico, mi piace l’ordine, la sicurezza, la pulizia, l’efficienza dei servizi, dei trasporti. Non mi piace il modo in cui la gente vive la propria vita lavorativa, dando per scontato che bisogna sacrificare il proprio tempo libero, la poca flessibilità della gente, ma anche di essere spesso trattato come uno straniero (aspetto di cui pero, a volte, traggo vantaggio).
–Sara: Io amo tutto quello che non capisco. Amo le lingue dalla prima volta che ho sentito parlare in inglese e non ci ho capito una sola parola. Allo stesso modo, la prima volta che ho messo piede sul suolo giapponese ho amato tutto quello che trovavo “diverso” e “lontano”, tutto quello che in fondo risultava come una magnifica sorpresa. Sono stata la prima volta in Giappone 13 anni fa; allora c’era Internet ma il suo uso non era massiccio come adesso e per questo, in fondo, sono arrivata un po’ impreparata. Ho amato la bellezza dei paesaggi, il contrasto tra vecchio e nuovo, la gentilezza dei giapponesi che a volte sfocia in una formalità un po’ finta ma che mi metteva pienamente a mio agio.
–Fabiano: Non ho mai vissuto stabilmente in Giappone. Ho fatto numerosi viaggi, ma non sono mai andato oltre i tre mesi di permanenza del permesso di soggiorno turistico. In ogni caso, ciò che amo di più, quando vado, è l’atmosfera rilassata che si respira. Sì, forse sembra strano a dirsi, per un Paese che è noto per la frenesia e la gente che affolla le strade, ma la realtà è che se ci si allontana dai maggiori centri, come possono essere Akihabara e Shibuya, e sì va in zone un po’ meno mainstream, l’atmosfera cambia completamente. Se poi ci si allontana dalle grandi città per andare in campagna, ancora meglio!
Lo so, il mio è un punto di vista da turista, probabilmente, a viverci tutti i giorni, cambierei presto idea, ma a me piace godermelo così: calmo, accogliente, pacato.
La cosa che mi ha fatto più disperare, invece, è la corazza quasi impenetrabile che indossano i giapponesi nella vita di tutti i giorni. No, non sono tutti samurai, né tutti kendoka, ma riuscire a entrare in confidenza con un giapponese, a meno di situazioni particolarmente favorevoli (per quanto mi riguarda, ad esempio, ho ormai preso l’abitudine, quando vado giù, di frequentare una associazione per lo studio delle lingue: soluzione che unisce l’utile al dilettevole), è veramente un’impresa.
-Oggi vivi in Italia o in Giappone? Perché?
–Federica: Oggi vivo in Canada, per amore 😀 Ma se ci fosse un modo per gabbare il sistema e andare a vivere in Giappone come freelance, partirei domani.
–Stefano: Vivo in Giappone, perché è qui che sono riuscito a trovarmi e costruirmi una professione. In Italia ho trovato grosse difficoltà a farmi strada dopo la laurea. Spero comunque che un giorno avrò la possibilità di lavorare e sentirmi realizzato in Italia.
–Sara: Vivo in Italia, perché amo il mondo e amo esplorarlo ma sento sempre la necessità di tornare alle mie radici. E poi oggi ho un marito e due figlie e devo necessariamente tenere conto anche delle loro esigenze.
–Fabiano: Vivo in Italia, un po’ perché preferisco continuare a godermi il Giappone poco alla volta, quando vado giù, senza che diventi qualcosa di routinario, un po’ perché non condivido alcune impostazioni della società, come l’arrivismo del sistema scolastico. Il clima, in questo senso sta lentamente cambiando, ma di strada ce n’è ancora molta da fare… farà prima l’Italia a giapponesizzarsi (perché quella è la tendenza) che il Giappone a italianizzarsi.
-Puoi dire tre cose belle del Giappone e tre cose belle dei giapponesi?
–Federica: Tre cose belle del Giappone: il karaoke (santo subito!!), il momiji, i piccoli templi deserti – Tre cose belle dei giapponesi: l’efficienza, la gentilezza (qualcuno potrà dire che è tutta facciata, ma è comunque un modo di porsi più gradevole della scortesia che invece si trova in altri paesi), l’importanza che danno all’armonia tra l’uomo e la natura.
–Stefano: Sul Giappone:
1. La sensazione di sicurezza che trasmettono le città
2. La fioritura dei ciliegi ad aprile
3. Il senso di pace che si percepisce nei grossi e antichi complessi templari immersi nella natura
Sui giapponesi:
1. sul posto di lavoro sanno essere molto professionali (puntualità , sorriso, precisione)
2. hanno un grande rispetto verso l’ambiente e il prossimo
3. la passione e diligenza che impiegano nelle attività di qualsiasi genere (sport, hobby, lavoro, ecc)
–Sara: Del Giappone:
1. I treni sono puntualissimi. Lo so che è un’ovvietà ma da italiana lo apprezzo davvero tanto!
2. Il Giappone è pulito, ordinato e sicuro.
3. Il Giappone offre opportunità di lavoro a chi vale.
Dei giapponesi:
1. Li ho sempre trovati molto aperti alle differenze culturali.
2. Sono degli esteti e hanno un senso del bello che è semplicemente innato.
3. Quando viaggiano all’estero hanno sempre con sé dei regalini e souvenir da donare a chi conosceranno.
–Fabiano: Due cose legate al passato: amore e rispetto per le tradizioni e la capacità di rendere ogni cosa un’arte. (che poi alla fine sono cose molto legate tra loro)
Una cosa (due?) legata al presente: efficienza e affidabilità. Ma attenzione a chi dice di amare l’efficienza dei giapponesi, ma pensare che lavorino troppo: le due cose sono strettamente legate, quindi non potete avere l’una senza l’altra.
-Credi che sia possibile un gemellaggio Giappone-Cina dal punto di vista culturale, oggi?
–Federica: Sono convinta che tutto sia possibile. Per quanto possa essere complessa la relazione tra il Giappone e la Cina per tutta una serie di motivi storici e politici, le loro culture sono interconnesse da secoli, quindi credo il gemellaggio culturale sia possibile. Ci vorrà ancora del tempo, ma sono ottimista 🙂
–Stefano: Non ne sono certo… sono due popoli che nutrono ancora pesanti pregiudizi e risentimenti derivanti da fattori storici.
–Sara: Potrebbe esserlo, visto il legame culturale quasi indissolubile che c’è stato tra i due paesi per secoli. Ma al momento credo che la distanza politica non lo permetta.
–Fabiano: Direi più facile per noi pensarlo che per loro realizzarlo, a causa delle acredini legate al passato (soprattutto al comportamento giapponese prima e durante la seconda guerra mondiale).
Grazie Giappo-Amici anche per questa seconda parte dell’intervista, decisamente illuminante per chi ha bisogno di consigli, incoraggiamento, ma anche ridimensionamento.
Chi ha studiato giapponese, cinese, o qualsiasi lingua lontana sa che gli sforzi da fare sono grandi ma leggeri se sostenuti dalla passione. Chi dopo tanti anni ha il privilegio di lavorare con queste lingue meravigliose sa che non smetterà mai di imparare. Questo è un dono preziosissimo che abbiamo fatto ai “noi stessi futuri” quando eravamo innocenti, e vivevamo di sogni.